Educarsi per educare

Avrete anche voi fatto caso come le relazioni che abbiamo, in particolare quella con i nostri figli, siano spesso condizionate da come stiamo e da ciò che pensiamo oltre che, naturalmente, da chi siamo.

È facile che se abbiamo bassa autostima o la percezione di una autoefficacia insufficiente, si generano pensieri che affaticano la messa in opera del nostro progetto educativo, andando le energie a catalizzarsi tutte su rimuginii che ci disequilibriano, ci appesantiscono e ci avviliscono.

Capita che se mia figlia va male a scuola io possa cominciare a credere che sia poco intelligente, che potrebbe anche non farcela e che abbia qualche problema da andare a scovare e risolvere il prima possibile; così come capita che, a fianco a questi pensieri, se ne generano spesso altri, di cui forse siamo poco coscienti, ma che ci attraversano, ci agganciano e ci sprofondano nelle sabbie mobili: “se mia figlia è così allora io ho sbagliato tutto! Sono inadeguata come madre! Sono una fallita! Sono un’ incapace!”. Si forma all’interno della nostra mente come un dvd che va e non si ferma più, radicando in noi delle convinzioni martellanti che ci fanno reagire in modo automatico e ci allontanano dalla quella necessaria consapevolezza che ci aiuta, invece, ad avere la giusta responsabilità e maturità, propria del ruolo genitoriale.  Altre volte accade che il nostro essere genitore si inceppi in dinamiche psicologiche che inquinano la relazione con i figli. Quando cerchiamo, ad esempio, di fare i “salvatori”, facendo i compiti al posto loro o ricordandogli quello che devono fare o come lo devono fare; oppure quando facciamo i “persecutori”, ossia in tutte quelle situazioni in cui ci capita di dire frasi come: “quando torna tuo padre vedrai!”, non rendendoci conto che così ci delegittimiamo e perdiamo la nostra autorevolezza. Un altro modo di essere genitore è anche quello di fare la “vittima” e che porta a questi ragionamenti: “dopo tutti i sacrifici che faccio per te, mi ricambi in questo modo!”.  Sicuramente non è facile riconoscere talune dinamiche o sapere che sono velenose per la nostre relazioni, l’importate è che non perdiamo di vista il senso dell’educare e l’obbiettivo dell’educazione, il che vuol dire essere disposti noi per primi a cambiare e a scegliere come comportarci, restando disposti a crescere con i nostri figli e a farci piccoli per permettere loro di diventare grandi. Gli errori e le cadute sono all’ordine del giorno, ma avere bene in mente che lo scopo per cui ci mettiamo così in gioco per loro è proprio quello di donare ai nostri figli l’autonomia, fa una grande differenza. Autonomia è una parola bellissima che viene dal greco e significa “darsi il nome”, per cui lavorare affinchè i figli conquistino l’autonomia, significa permettere loro di riconoscersi e, “dandosi il nome”, scoprire e affermare la loro individualità, la loro unicità ed irripetibilità.

La valorizzazione del sé e l’autonomia non sono, però, gli unici obbiettivi di un progetto educativo: c’è anche l’orientamento ai valori e l’indirizzarli verso la felicità!  Non tutti sanno che la felicità non è una emozione, come può essere per esempio la gioia, momentanea e istantanea, ma uno stato dell’essere che ti accompagna a prescindere da dove sei, da ciò che hai e da come stai, che va coltivato e alimentato perché permette di sentirsi partecipi e proliferi nella vita.

Quanto sin qui detto mi permette di affermare che sono due le dimensioni che caratterizzano un buon progetto educativo: il fare e l’essere. C’è, infatti, un modo per fare bene il genitore che è quello di inserire nella relazione sia il cosi detto codice materno che quello paterno, garantendo in questo modo al figlio sia l’accudimento, la protezione, la soddisfazione dei bisogni e la gratificazione, sia l’inserimento nel mondo, la conquista della vita, la definizione dei limiti, delle regole e della responsabilità. Così come si fa il genitore c’è un modo anche di esserlo e di esserci, il che significa non dare tante parole, sermoni o paternali quanto trasmettere ed educare con l’esempio e con l’empatia donando ai figli un tempo di qualità, ed essendo disponibili all’ascolto e a conoscerli.  Anche l’essere come il fare prevede la presenza delle tanto temute regole, che alcuni cercano di evitare pensando che siano obsolete, inutili o eccessive. Invece non sanno che le regole sono agli occhi dei figli una conferma del nostro interesse per loro.  Le regole permettono quei confini che evitano di farli perdere, che gli danno quel senso di realtà necessario per farli stare in società, che li fa crescere, maturare e responsabilizzare e non darne, gli preclude un altro bisogno fondamentale: quello di disobbedire, trasgredire, ribellarsi!  Ovviamente parlare di regole non significa fare di queste il fine ultimo dell’educazione, quanto piuttosto fare di esse uno strumento utile ed efficace per il raggiungimento dell’indipendenza e della autonomia dei ragazzi .

Approfondimento a cura di

Stefania Carluccio

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